La Basilicata celebrata con ottimismo tanto fatuo quanto irresponsabile come isola felice, soffre una condizione di decadenza. Le classi dirigenti dovrebbero rappresentarne la cura, sono invece la malattia.
I documenti della Finanziaria e di Bilancio della Regione forniscono una mappa delle contraddizioni tra interessi privilegiati e bisogni negati. Quote di spesa pubblica vengono investite nella produzione di consenso, per l’incremento della produttività elettorale e della ricchezza di ceti e lobbies che fanno blocco intorno alla spesa pubblica, in cui agiscono da cerniera o da operatori in proprio molti componenti degli apparati politici e burocratici. Insomma “la fragile egemonia della borghesia lucana” persevera in una storia che si è svolta nel corso dei secoli e degli ultimi decenni a ridosso del clero, delle rendite, e, di recente, anche di uno scambio politico-affaristico.
Questo è lo sfondo della crisi ormai in fase acuta, in cui tutti, chi con la convinzione incauta e persino stupida di starci ottimamente, chi con la preoccupazione e responsabilità operanti e insieme frustrate di doverne uscire, pena una comune rovina, tutti, dicevamo, siamo immersi.
Solo una boria delirante potrebbe ispirare la pretesa, da parte di un partito, di farcela da solo o di possedere poteri salvifici, ma sarebbe altresì un segno di pigrizia politica e morale non manifestare in modo franco e piano i rischi che si percepiscono.
In Basilicata molti soldi sono già stati spesi, e tanti altri ne stanno per arrivare.
La condizione economica, sociale e culturale della nostra regione è arcinota: disoccupazione, precarietà, deficit di autonomia, povertà schiacciano soprattutto i giovani, le donne, gli anziani insieme all’ identità, alle tradizioni e al senso comunitario (l’Agip, la Fiat, la Coca cola decidono, sulla base delle convenienze proprie alle multinazionali, la destinazione e l’uso del nostro territorio e delle nostre risorse naturali). Ecco perché i soldi pubblici debbono essere spesi in modo programmato, produttivo e democratico, cioè con la partecipazione reale dei lavoratori, dei giovani, delle donne sia nella fase delle scelte sia in quella della verifica dei risultati. Ma c’è ancora un’altra e forse più forte ragione: i soldi sono molti e la popolazione è piccola. Si potrebbe aprire un mercato e una eterodirezione delle menti e delle coscienze. Si andrebbe verso un destino di lunga inerzia civile.
Sono insostenibili, perciò, i ripetuti e interessati rinvii in ordine alla riduzione e alla riforma degli enti che gestiscono la spesa e i servizi (in particolare le ASL, le comunità montane e i molti enti inutili, anzi convenienti per pochi). Non gioverebbe alla vita civile e democratica della Basilicata il coinvolgimento del PRC in pesanti responsabilità, senza un ruolo di reale influenza nel quale far valere le sue valutazioni
Gli argomenti precedenti, non ispirati da interessi particolaristici, frutto di valutazioni maturate nel corso ormai di 2 anni, in cui si è consumata un’esperienza di rinvii, di impegni disattesi, di decisioni assunte in modo separato dal “Superpartito” (DS, Margherita e Udeur), confermati dagli ostinati rifiuti opposti in sede di finanziaria, rappresentano le ragioni forti su cui si fonda la decisione del PRC di uscire dalla maggioranza che sostiene il governo regionale. Vorremmo dire a coloro i quali hanno pronta sulla lingua l’accusa di “moralisti” che la trasparenza non attiene, o non attiene soltanto, alla sfera etica, ma soprattutto a quella economico-sociale.
Resta l’impegno di partecipare in modo ostinato, ma non fazioso, alla riapertura di una fase, in cui nuovi contenuti, nuove pratiche e nuovi assetti di governo segnino una svolta rispetto al passato e si pongano all’altezza dei bisogni e delle risorse del popolo lucano.
Segreteria Regionale PRC